da ottobre 2011 a giugno 2014
Maschere e Riti dei Carnevali Arcaici del Veneto e Dolomiti
La mostra ideata e allestita da Gianluigi Secco, storico esperto di cultura e tradizioni popolari, documenta con una ricchezza di dettaglio, resa possibile da anni di ricerca, personaggi e maschere arcaiche come ama definirli lo stesso curatore. I personaggi proposti sono, per la maggior parte, quelli superstiti dell'area dolomitica bellunese, come il diavolo nero bifronte di Faedo vicentino, i bombasin del rodigino, la Redodega-Maràntega-Donàza , che in qualità di mitica Vecchia nostrana (la Befana) regina degli Inferi, potrebbe essere considerata come mitica e arcaica madre d'ogni forma vitale e perciò del Carnevale stesso.
La maggior parte delle figure sono di tipo antropomorfo e rientrano nei due grandi gruppi dei belli e dei brutti. Le più importanti sono le maschere guida che precedono separate dalla musica (gruppo dei suonatori) tutte le altre. Tutte le maschere di questo nucleo, dai tipi Mata e Matazin, Matoc, Matiel e Lakè agli infuligginatori in nero (diavoli e soprattutto pagliacci) sono riconducibili alla grande categoria degli Arlecchini (arlekini, arlechin, arlechign), che la cultura medievale ci indica come redivivi; sono i morti che tornano al volgeredella nuova stagione e portano rinnovamento e fertilità rappresentando la continuità della vita loro e nostra.
Nella mostra vengono rappresentati, inoltre, il mondo fitomorfo (l'uomo albero e l'uomo selvatico), come accade nell'Agordino e si rammenta in Alpago, in Val Belluna e ancora nell'Alto Trevigiano, e quello zoomorfo dove l'animale per quanto grande e grosso viene domato e finisce in qualche modo per essere sacrificato o muore attraendo mali e malattie del luogo che visita in cui viene esibito per rinascere magicamente e ripartire per un altro viaggio (muore/risorge). Belli o brutti, piante o bestie, tutti sono della medesima sostanza, ovvero trapassati che tornano a rappresentare la vita.
Maschere popolari trevigiane tra Ottocento e Novecento
La sezione è curata dal Gruppo Folcoristico Trevigiano e dal prof. Emanuele Bellò, esperto di trazioni locali e ripropone la ricostruzione di alcuni momenti tipici del Carnevale trevigiano come la vendita dei cibi rituali: Fritole, galani, castagnole, pendoleti e caraboi. Sono presenti anche, accanto le maschere generiche come i compari e le comari, alcune maschere rappresentanti di quartiere: Nane de le oche, che rappresenta la periferia e la campagna, assieme a Nane de le strasse che rappresenta la città con il quartiere di Cae de Oro. Nella cucina è ambientata la contrattazione per la dote di un matrimonio contadino che di solito avveniva in carnevale, prima della pausa liturgica.
Sono anche presenti due botteghe artigiane che nel corso del carnevale facevano un lavoro extra: il ciabattino che doveva fare le riparazioni e creazioni particolari per i balli che impazzavano per tutto il carnevale, il ramaio che produceva pentole particolari per la cottura del cotechino prima dell'astinenza quaresimale, oltre alle conche da fritole.
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